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Grotta del CaproneTratto dal Libro Sulle orme del lupo di Carmine Palatucci Ed. Altirpinia
Si resta meravigliati della bellezza delle Grotte di Castellana o di Pertosa. Ci si immerge nelle viscere della terra. Un mondo sconosciuto e misterioso si apre davanti a noi; la mente ci riporta agli albori dell'uomo; torna l'atavica paura del buio. Le guide, grazie alla loro preparazione e alla loro competenza, ci rassicurano, conducendoci alla scoperta di un nuovo mondo. Anche l'Irpinia offre le stesse emozioni. Poco conosciute le Grotte del Caliendo, ubicate nel Comune di Bagnoli Irpino, rappresentano uno spettacolo di rara bellezza. Per chi volesse visitarle si consiglia l'intervento delle guide del Gruppo Speleologico "G. Rama" del medesimo comune, perché le difficoltà che si incontrano durante il tragitto sono molteplici e il pericolo sempre in agguato. Nel comune di Montella si trova, invece, la Grotta del Caprone o Caparrone (vedi foto), di facile accesso, a parte un'ora di salita sulle pendici del Monte Serralonga. Si lasciano i mezzi di trasporto in località Varo della Spina e ci si inoltra nel verde, seguendo il sentiero per la Scorzella. Dopo aver attraversato il Ponte del Fascio, si prosegue sul sentiero che costeggia la riva sinistra delle sorgenti del Terminio. Bellissimi questi luoghi che fanno parte della zona 'A' del parco dei Monti Picentini, numerose sono le tracce dei cinghiali e di altri animali. Man mano che avanziamo il sentiero diventa sempre più ripido. Si alternano faggi e lecci, il rumore dell'acqua si allontana. Ci soffermiamo ad osservare accanto ai sassi, fossili di monoliti e conchiglie varie, mentre la nostra mente fantastica e si tuffa in tempi lontanissimi. Siamo prossimi alla méta. La leggenda vuole che il nome Caprone derivi dai Sabba che si svolgevano all'interno della grotta, una sorta di riti satanici derivanti dalle sette dionisiache dell'antica Grecia, feste da cui è nata la tarantella. Molto più tardi, nel periodo dell'unità d'Italia, la grotta fu usata come covo dalla Banda Carbone. Una credenza popolare afferma che lì fosse stato nascosto un tesoro, mai ritrovato. Entriamo nella grotta attraverso una piccola apertura in una grande roccia. All'interno la temperatura è costante sui 17-18 gradi. Dal soffitto pieno di stalattiti cadono continuamente gocce d'acqua, segno che la grotta è ancora attiva. Essa è di modeste dimensioni, quanto un grande salone, e si è formata per erosione carsica, per i terremoti, per crolli, perché, molto probabilmente faceva parte di una rete fluviale sotterranea nel tempo in cui il letto del torrente Scorzella era di qualche centinaio di metri più in alto di quello attuale. La colorazione biancastra delle stalattiti, delle stalagmiti e delle varie erosioni testimoniano che la grotta ha iniziato a formarsi nell'era secondaria, circa cento milioni di anni fa, mentre le stalattiti e le stalagmiti si sono formate negli ultimi diecimila anni. Una piccola colonia di pipistrelli abita la grotta. Le torce illuminano pareti e soffitto e noi restiamo affascinati dalle volte artistiche che la natura ha saputo creare. Il buio si fa intenso e quasi non distinguiamo più l'uscita. Giriamo affascinati intorno alle stalagmiti; qualche fosso dimostra lo scavo per la ricerca del tesoro e bisogna stare attenti a non cadere dentro. Dopo aver fantasticato su periodi storici remoti, ammirato le stalattiti e le stalagmiti, salutato la piccola colonia di pipistrelli, guadagniamo l'uscita. Un bagliore accecante ci avvolge e saluta il nostro ritorno alla realtà. CURIOSITA' A qualche centinaio di metri più su della grotta, passa l'antico tratturo che collegava Montella a L'Ogliara di Serino, possedimento, in tempi remoti, di Montella. I viandanti che udivano il baccano proveniente dalla grotta, credendo che fossero gli spiriti del fiume, appellarono il fiume: Clamor. Da questo poi Calor e quindi Calore. Così scrive il canonico Domenico Ciociola in Saggio di memorie criticocronografiche, un grande montellese vissuto nella seconda metà dell'Ottocento.
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