Una parola per volta per imparare il dialetto montellese
nguacchià : sporcare
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San FrancescoIl privilegio concesso ai frati da Filippo d'Angiò è la prima notizia, storicamente documentata, intorno al convento. Nell'inverno del 1221 Francesco d'Assisi, di passaggio per Montella, si recò nel Bosco di Folloni, per convertire i briganti. Calata la sera, trovò riparo sotto i rami di un elce, che sorgeva là dove sta ora l'altare maggiore della sua chiesa. La notte cadde abbondante la neve che coprì la campagna, ma non toccò l'albero, che proteggeva i frati. Francesco ritornò l'anno seguente, quando si stava costruendo un primo, minuscolo convento. Essendo torbide le acque del Calore, il Santo, per dissetare gli operai, fece sgorgare ai piedi di un cerro secco, a nord del convento, una sorgente, designata ancora oggi col nome di Fontana del Miracolo (vedi foto). Della fontana non restano che due lati delle mura e la pavimentazione. L'artista montellese Salvatore Pizza l'ha ricostruita in una Litographia. Nell'inverno del 1224 i frati erano rimasti bloccati dalla neve, nel convento povero, sperduto nel bosco infestato da torme di lupi e di orsi. Chiesero aiuto al Signore. Non c'era un'anima viva; non c'era orma di piede sulla neve. Dinanzi alla porta, un sacco di pane fragrante di freschezza, e sul sacco, il contrassegno dei gigli di Francia. Francesco, che era alla corte di Luigi VIII, aveva affidato agli angeli il pane per i suoi frati, chiesto per carità al re. La tela del sacco fu conservata per tre secoli come tovaglia di altare. Un giorno, un brigante capitò nella chiesa e rubò un pezzo di quella tela, per rattoppare il mantello. Un altro giorno quel brigante fu inseguito dalle guardie, che, non potendolo raggiungere, fecero fuoco contro di lui. Il sacco di S. Francesco salvò il brigante dai proiettili, che lo colpirono senza ferirlo. La protezione miracolosa convertì quell'uomo di delitti e lo condusse sulla via del pentimento e del perdono di Dio. Il miracolo del pane è raffigurato sulla parete di fondo del refettorio del convento, in un affresco del 1527 di Michele Ricciardi.
Alla chiesetta del tempo di S. Francesco i frati avevano sostituito nel '500 una chiesa dedicata all'Annunziata. Questa aveva una navata al centro; a destra, una navata minore, fiancheggiata da sette cappelle; a sinistra, altre cappelle.
Nel 1594 fu completato il solido ed elegante campanile,
iniziato il 1575. Verso il 1740 fu iniziata la costruzione della nuova chiesa barocca, dedicata a S. Francesco (vedi foto), ampia, armonica, monumentale; il 1743 fu messo in opera il portale; il 1769 il tempio era ultimato e venne consacrato, il 18 giugno, dal Vescovo di Nusco, Mons. Bonaventura. I frati erano in condizioni finanziarie così floride che nel 1762, mentre erano in corso i lavori per la costruzione della chiesa di S. Francesco, iniziarono, immediatamente fuori dall'abitato di Montella, la erezione di un nuovo convento, l'Ospizio (vedi foto). Nel 1776 i frati contrattarono la costruzione delle opere in legno per il coro e la sacrestia. Con la soppressione degli Ordini religiosi i Frati furono mandati via dal Convento, che rimase in abbandono. Nel 1872, il 12 novembre, il convento e la Chiesa furono ceduti dallo Stato al Comune, perché venissero trasformati in Cimitero o fossero adibiti ad altro uso di utilità e beneficenza. Non essendo stata possibile una qualsiasi stilizzazione dell'immobile, nel 1874, e di nuovo nel 1876, si tentò di affidare ai Minori Conventuali la custodia della Chiesa monumentale, ma la soppressione degli Ordini religiosi aveva dispersi i frati e non si riuscì a realizzare niente di concreto. Il convento fu abitato all'inizio di questo secolo da una comunità femminile. Durante la prima guerra mondiale, accolse i profughi del Veneto invaso dagli Austriaci. Dopo decenni di abbandono e di devastazioni, furono necessari restauri sostanziali, per riaprire al culto la chiesa e rendere abitabile il convento. Parte degli antichi arredi sacri e dell'argenteria della Chiesa fu provvidenzialmente acquistata, al tempo della soppressione, dall'Avvocato Vincenzo Bruni seniore, il quale impedì così che quegli oggetti preziosi, testimonianza dell'antica floridezza spirituale ed economica del convento, venissero dispersi. Il nipote, Avv. Vincenzo Bruni iuniore, generosamente li restituì ai Frati Minori Conventuali, che, nel 1935 tornarono nel loro convento sette volte secolare.
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