Una parola per volta per imparare il dialetto montellese
scìttolo : recipiente per bere fatto di metallo
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Vallone della NeveTratto dal Libro Sulle orme del lupo di Carmine Palatucci Ed. Altirpinia
Addentrarsi in una natura selvaggia e incontaminata oggi è quasi impossibile, perché con le strade asfaltate si può arrivare in ogni luogo. Tutto è alla portata di tutti, facilmente, grazie al mezzi di trasporto. A chi ama veramente la natura e cammina volentieri, consigliamo un'escursione, per esperti, accompagnato da una guida che lo farà entrare in un mondo che soltanto gli uomini di duemila anni fa potevano godere. E' questa la sensazione che si prova addentrandosi nel cuore selvaggio del Parco dei Monti Picentini: Il Vallone della neve. Partendo da Montella in direzione sud-ovest, dopo aver raggiunto, seguendo la statale 164 che porta a Salerno, la località Pitiniti, inizia l'escursione. Zaini in spalla, scarponi da montagna, si scende per una strada sterrata per affrontare la prima difficoltà. Ci troviamo alla confluenza di due torrenti, La Cerasa e i torrenti che scendono dalla Celeca (vedi foto). Bisogna guadarli. Ci accorgiamo che l'acqua pullula di avanotti. E' la prova che stiamo entrando in un mondo incantato. E' in questi posti che vivono ancora il granchio di fiume e il rarissimo gambero d'acqua dolce. Il sentiero sale per un po', per poi proseguire in falso piano. Ci addentriamo in un bosco di faggi. A tratti, su Pietraia, troviamo lecci, castagni selvatici, querce, aceri. Sulla nostra destra, in basso, il gorgoglio dei tanti torrenti che formano il Fiume Calore (Savina, Savinella, Saucito,... ). Dopo circa un'ora di cammino, si apre una radura che ospita un grande casolare diroccato, in pietra. Qui la mente ci riporta a tempi passati. Rivediamo il casolare (Porcino) , pieno di vita. Asini, muli carichi di legna e castagne scendevano a valle guidati dai nostri nonni che all'occorrenza erano boscaioli, castagnari, carbonari e maestri di mestieri in grado di assicurarci da vivere. Riusciamo ancora a sentire le esclamazioni di gioia dei bambini che rincorrevano cani, gatti, galline e quant'altro. Dopo questo momento nostalgico, riprendiamo il cammino. Attraversiamo la Savina e la Savinella. Ci sovrastano il picco Lo Nenne (capezzolo) e il massiccio della Celeca (vedi foto), da celecum, ossia Posto degli Dei perché sempre coperto da nubi. Siamo nel regno del lupo, del cinghiale e dell'aquila reale (vedi foto). Infatti, dopo circa mezz'ora di salita affannosa, troviamo le prime tracce di cinghiali presso una pozzanghera. Siamo arrivati. Prima di entrare nel vallone, ci rifocilliamo. A prima vista sembra tutto normale. Non è così. Ci avviamo verso una grande roccia dove pare che termini il sentiero. Lentamente però, davanti a noi si apre una enorme gola con una vegetazione molto diversa da quella già vista. Le piante di belladonna sfiorano i tre metri. Ora non c'è più sentiero, la salita è molto dura. Ogni tanto troviamo resti di cinghiali sbranati dai lupi che li accerchiano e li fanno cadere dai dirupi. In questo posto bisogna rispettare il silenzio perché il vallone funge da cassa di risonanza e, quando si alza la voce cadono le pietre. Cosa molto pericolosa. Dopo circa venti minuti di cammino ecco la neve, alta 4-5 metri; sotto le foglie secche che fungono da isolante termico. In questo posto non batte quasi mai il sole per cui la neve non si scioglie e i vari strati insieme alle foglie fanno da calendario. Visto che siamo accaldati ci facciamo un bel sorbetto con lo zucchero e i limoni portati da casa.
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